C’è un’emergenza nella giustizia italiana: il diritto penale dell’economia. La affronta Giovanni Maria Flick nel suo Il giudice e l’impresa (ed. Il Sole 24 Ore), seguito del recente saggio Un patto per il futuro, una rotta, un’ uscita di sicurezza culturale-digitale-ecologica per una umanità in pericolo.
Orientare le imprese a più alti livelli di responsabilità, di legalità verso i lavoratori, la collettività, l’ambiente – nota il giurista – è un’esigenza europea e globale. Ma in Italia fenomeni allarmanti nel rapporto tra imprese, supertecnologie, sicurezza sul lavoro e tutela del paesaggio rendono quell’esigenza necessaria e più urgente. Discipline scoordinate fanno apparire il nostro Paese poco attraente agli imprenditori o troppo attraente agli speculatori malintenzionati.
Quello tra il giudice e l’impresa è stato un dialogo difficile, spiega l’ex ministro e presidente della Corte costituzionale, poiché per decenni a presidio della regolare attività aziendale si è ricorsi a strumenti civilistici inidonei a contenerne la pericolosità sociale. Il legislatore era immobile, non interveniva. Lasciava espandersi una giurisprudenza “creativa”, che tentava di rispondere in modo disorganico all’istanza d’intervento anche penale proveniente dalla società.
Come evitare che il denaro pubblico e quello “del pubblico” venissero sperperati da iniziative economiche sprovvedute o fraudolente e insieme tutelare la concorrenza, la partecipazione al mercato di un numero sempre più alto di operatori, l’informazione agli organismi di controllo, la tutela degli investitori e del risparmio? La necessità di un maggiore intervento pubblico nell’economia portava ad attribuire a determinate attività imprenditoriali qualifiche tali da poter ricorrere allo statuto penale della pubblica amministrazione.
Intanto il diritto penale nel campo della libera iniziativa economica oscillava tra sporadiche leggi emblematiche e lacune normative non colmate da supplenze giuridiche occasionali. Altre incertezze sono derivate dalla confusione fra responsabilità “collegiale” dell’impresa e responsabilità penale del singolo.
La svolta risolutiva per il diritto penale d’impresa avviene tra gli anni Novanta con le esperienze e le polemiche di Mani pulite, l’inizio del Duemila con la relazione preliminare della Commissione Grosso per la riforma del Codice penale e il 2022 con la riforma costituzionale che negli articoli 9 e 41 attribuisce nuovo rilievo a salute e ambiente, considera principio fondamentale lo sviluppo sostenibile.
Da argomento per pochi eletti il diritto penale si trasforma in argomento per tutti. Con dubbi irrisolti, per esempio sulla custodia cautelare e sulla “collaborazione coatta” chiesta agli imputati. Con dubbi sul dilatato utilizzo dei mezzi di investigazione per la ricerca delle prove, accresciuti dai nuovi strumenti tecnologici di investigazione sempre più sofisticati fino all’intelligenza artificiale predittiva e al timore che un processo si concluda con una sentenza nata da un algoritmo.
L’emergenza giudiziaria è soprattutto dovuta al legame tra patologia d’impresa e inquinamento mafioso dell’economia con metastasi in tutto il Paese. Corruzione e criminalità economica sviluppano riciclaggio, ecoreati, frodi fiscali nazionali ed europee. Ledono i valori costituzionali di eguaglianza, di competitività, di libertà d’iniziativa economica, di legalità, di imparzialità, efficienza e trasparenza della pubblica amministrazione.
Purtroppo le emergenze comportano rischi anche per chi vi pone rimedio. Raccomanda una vecchia regola: «Meno diritto penale possibile, tutto il diritto penale necessario». Lo ricorda il professor Flick: attenti a non scardinare i suoi principi fondamentali per aprirlo a nuove stagioni di prevenzione e repressione irrazionali e sproporzionate. Non ricorrere a una giustizia soltanto connotata da velocità, quantità ed efficienza. Il maggiore controllo del giudice sulle attività economiche non si sommi alle acrobazie tecniche e giuridiche per forzare l’interpretazione della legge.
Il giurista mette in guardia dal processo mediatico. “Liaisons dangereuses” tra informazione e magistratura soddisfa l’esigenza di spettacolarizzazione, asservisce il processo penale alla ricerca del consenso, condizionandolo alle attese delle vittime se non addirittura della folla. Può spingere il pubblico ministero a nascondere elementi di prova favorevoli all’imputato.
Preoccupano Flick i plurimi accessi abusivi alle banche dati in uso presso la Direzione nazionale antimafia e altre istituzioni pubbliche. «Anche il dibattito politico mediatico – scrive – testimonia il timore per le conseguenze possibili della saldatura tra l’aumento di capacità tecnologiche di investigazione e l’acquisizione di notizie da un lato e la tendenza a privilegiare la prevenzione rispetto alla repressione dei reato dall’altro».
E teme il rischio che l’astrattezza dei beni tutelati (gli interessi finanziari dell’Ue) e la rilevanza degli interessi in gioco convincano il legislatore dell’inutilità del suo intervento e della convenienza di “una supplenza giudiziaria europea”.
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